Chi è il formatore?

Sarà l’età, ma le parole devono pur avere un senso, e quando questo senso non si riesce a ritrovare a volte si sente il bisogno di ripartire dai fondamentali, perché una sensazione di smarrimento ogni tanto ci assale, nonostante si appartenga ad una comunità di pratica in cui le condivisioni dovrebbero produrre vicinanze, insiemi, ibridazioni, non MoNadismo.

Allora, riprendendo la domanda iniziale, mi ritorna l’eco dei miei primi passi nella formazione – parlo di trenta anni fa – in cui si sottolineava la distinzione tra formazione e addestramento.

Render destri significa rendere abili, esperti, rendere qualcuno capace di usare una tecnica, una macchina, significa creare condizioni standard di azione, in un modello di tipo skinneriano che va poco oltre lo schema S-R.

Noi “giovani leoni” della formazione sottolineavamo allora una differenza tra un approccio di tipo direttivo e il modello che avevamo in mente. Ritenevamo che il modello skinneriano fosse adatto in ottica tayloristico-fordista, in cui a un dato contesto occorreva funzionalmente attrezzarsi con una risposta data.

 

Poiché la transizione verso il post.industriale si avvertiva anche in Italia in quei primi anni ’80, l’idea che ci fosse una ed una sola risposta, indipendente dal soggetto che la esercisce, in un contesto ritenuto a torto immodificabile o quanto meno statico, non sembrava la più adeguata.

Ecco che il modello “rogersiano” di formatore emergeva nella sua potenza e nella sua apparente inconsistenza contenutistica. Il formatore appariva, allora, non come colui che ha le risposte – i contenuti – ma come colui che fornisce il metodo per porre le domande giuste e per cercare le – tante – risposte possibili, restituendo dignità umana ai soggetti in formazione, ristrutturando le logiche deresponsabilizzanti della ricerca in atri da sé delle risposte, in quella strutturazione che consente di compattarsi con se stesso e con il gruppo.

Enfasi allora sul gruppo – sull’individuo nel gruppo – ; assoluta incidentalità dei contenuti; insistenza sulla creazione del clima di ascolto reciproco e accettazione delle ragioni di ciascuno come precondizione perché si possa parlare di contenuto. Questo consideravamo – e ancora di più oggi io considero – il lavoro – e la specificità – del formatore.

Conoscere il marketing ed in-segnarlo non significa essere – necessariamente – un formatore. Si può definire formatore quindi solo il metodologo, chi conosce, interpreta e gestisce le logiche dell’apprendimento, della psicologia sociale e dei gruppi, di tutte le tecniche connesse alla comunicazione umana.

Da questo punto di vista il formatore è un iniziato, è colui che è maestro nei confronti dell’altro, che gli svela delicatamente i segreti processi inconsci, le credenze, gli stereotipi, i pregiudizi, lo aiuta a riconoscere i tranelli e gli autoinganni, e lo rende libero di porre le proprie domande e di cercare le proprie risposte avendo acquisito uno sguardo più ampio che incorpora altri punti di vista, battendo vie personali nuove ed inesplorate.

È quindi, come si vede, tutto il processo del cambiamento – la metabletica – che è incorporata nella formazione, non può essere mai scissa da essa, sia che si faccia un corso sugli investimenti in borsa sia che si faccia un corso di formazione dei formatori. Ed oggi Internet innalza sempre più il livello di questa sfida. Il repertorio dei contenuti è sempre più ampio, disponibile, e a buoni livelli di approfondimento.

È quindi il soggetto in formazione che fa la differenza, e se ha avuto un formatore in grado di contenere il suo ego e i suoi deliri (che spesso si trasformano in una vera e propria prevaricazione nei confronti di chi è considerato meno sapiente) potrà trasformare le sue conoscenze, i suoi aggiornamenti, la sua formazione, in sviluppo personale stabile e congruente con se stesso e il proprio contesto di riferimento. Ma, indipendentemente dalle condizioni storiche in cui si è esercitata ed evoluta la professione del formatore, è di tutta evidenza che la dimensioni cognitive non possano sfuggire ai presupposti di soggettività ed integrazione che ho richiamato.

Tante sono le questioni aperte, per fortuna, che consentiranno di approfondire ulteriormente la discussione.

Dico per fortuna perché mi piace l’idea di una professione che nelle sfide concrete, piuttosto che nelle definizioni aprioristiche, trova un suo equilibrio e una sua ragion d’essere.

 

 

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Autore: Luciano Cassese

Luciano Cassese CEO Fosforo24 Fondatore ed editore di Professioneformatore.it Trainer, Speaker, Self Marketing Coach, Imprenditore On Line Appassionato Marketing, Sviluppo Personale, Meditazione https://www.lucianocassese.it