A cura di Luciano Cassese e Michele Barbaro
“Oggi trovare lavoro è diventato un’impresa, o meglio ancora, è diventato un lavoro!” .
Le riforme strutturali degli anni 90 (l’apertura dei mercati internazionali che ha esposto le aziende nazionali alla globalizzazione e le riforme giuslavoristiche che hanno introdotto anche in Italia la flessibilità) e più recentemente la crisi finanziaria che ha portato al fallimento tante aziende spazzando via molti posti di lavoro hanno reso il mercato del lavoro un posto molto competitivo. Inviare tanti curriculum dove capita, oggi, serve veramente a poco.
E’ opportuno pensare a se stessi come ad una azienda ad una specie di S.p.A. che offre un prodotto sul mercato. Anche tu come un’azienda offri un prodotto che è la tua professionalità, e per collocarlo sul mercato in maniera ottimale, è utile che tu inizi a ragionare in termini di Marketing come la società che si chiama “IO S.p.A.” Cosa offri quale è il tuo valore aggiunto? Una volta identificato potrai offrirlo ad una o più aziende!
Per cercare un lavoro è innanzitutto necessario, chiarire a se stessi, quindi, in modo analitico e approfondito, il lavoro che si vuol cercare e definire il prodotto/ servizio che si vuole offrire ai propri datori di lavoro e ai propri clienti.
In seguito dobbiamo chiederci cosa conosciamo del mercato del lavoro a cui stiamo per proporci (o ri-proporci).
Dopo aver delineato i nostri interessi e le nostre risorse personali in termini di formazione, competenze professionali, caratteristiche di personalità e di contesto socio-economico, dobbiamo confrontarci con le reali opportunità che il mercato mette a disposizione.
L’attuale situazione del mercato del lavoro è estremamente complessa, caratterizzata com’è da alcune tendenze di scala mondiale:
instabilità, rapidità dei mutamenti e difficoltà delle istituzioni a governare la situazione con politiche che investano sul futuro oltre che affrontare la gestione del presente;
internazionalizzazione, intesa come progressivo annullamento dei confini nazionali sia per le aziende e per i mercati finanziari sia per le forze lavoro, con conseguente interdipendenza delle economie di Paesi anche molto distanti fra loro;
rapida obsolescenza delle conoscenze e rigidità nella loro diffusione su vasta scala (nonostante i vantaggi della Rete);
moltiplicazione e complessa articolazione delle figure professionali, sia a causa della nascita di nuove professioni sia per la commistione di professioni un tempo separate.
Tutte queste tendenze rendono di fatto impossibile una previsione attendibile su cosa accadrà nel medio-lungo periodo; nella vita di ciascuno, di conseguenza, possono creare forte incertezza sul futuro (nei luoghi di lavoro come in famiglia, nel pubblico come nel privato) e rendono molto difficile operare delle scelte.
Quindi, consiglio di non perdere mai troppo tempo alla lettura i dati sul mercato del lavoro e di utilizzarli solo come strumento di informazione territoriale finalizzato alla raccolta dei dati sulle aziende alle quali intendiamo proporci.
Il posto fisso, soprattutto a seguito della crisi economica e dei cambiamenti in atto ha perso gran parte del suo appeal. Il lavoro stabile, oggi non rappresenta più, come un tempo, l’unica opportunità di crescita professionale. In molti casi un contratto di lavoro da dipendente a tempo indeterminato, può rappresentare un freno alla propria carriera e alle prospettive future.
Con i tempi che corrono, non è per niente detto che le condizioni di vita di un laureato in ingegneria che viene assunto in una azienda metalmeccanica, in termini di reddito e di prospettiva di carriera, siano migliori di un laureato in scienze motorie che decide di fare il personal trainer e lavorare come libero professionista. Anzi semmai è il contrario!
Allo stesso tempo, se abbiamo chiarito i nostri punti di forza, non è detto che i vincoli imposti dal mercato siano insuperabili, soprattutto se abbiamo definito con efficacia un prodotto e un servizio che offriamo e agiamo organizzandoci con altre persone, coinvolgendo la Rete sfruttando tutte le opportunità già disponibili e sviluppando le nostre risorse.
Se abbiamo un buon piano e una discreta dose di motivazione possiamo raggiungere qualsiasi meta. Non c’è crisi troppo grande che ce lo impedisca. Altro elemento è l’implementazione di un sistema di promozione delle nostra professionalità in linea con gli obiettivi prefissati. Ricordo ancora le parole di un mio professore dell’università che mi diceva “Lucià puoi essere pure o’ Meglio del mondo ma se nessuno lo viene a sapere tu non sarai mai nessuno”.
Elemento fondamentale è quello della definizione di un piano strategico di medio termine, un progetto professionale nel quale definiamo gli obiettivi più importanti, il nostro posizionamento di medio e lungo periodo e le attività di comunicazione. Una volta definito un piano, seguendolo con scrupolosità, otterremo sicuramente buoni risultati. I capitoli che seguono affrontano per punti tutti gli elementi che servono per elaborare, quello che potremmo chiamare un vero e proprio piano di Marketing personale finalizzato alla ricerca del lavoro e al miglioramento continuo della propria posizione professionale.
Fermati un istante!Questa Mini-guida alla ricerca di lavoro è un piccolo riassunto, di poche pagine, del mio testo “Lavoro; Trovarlo e cambiarlo anche con questa crisi” disponibile in due versioni Free (gratuita) e Pro (al costo di 5,27 €). Con taglio pratico ed approccio positivo, il testo offre tanti strumenti di orientamento alle scelte professionali e una serie di spunti per migliorare la propria ricerca, rendendola sempre più efficace. Se, in questo periodo della tua vita stai cercando lavoro o sei un operatore di orientamento o un formatore nella guida troverai tantissime informazioni utili che ti permetteranno di raggiungere tutti i tuoi obiettivi professionali. Scegli la tua copia ti assicuro che troverai nelle pagine della guida le risorse utili per quello che stai cercando. Link al libro
Alcune definizioni
Per mercato del lavoro si intende il “luogo” di incontro fra la domanda e l’offerta.
Il fatto che la “merce” in questione sia “il lavoro delle persone” pone già alcuni interrogativi, a partire dal più radicale (il lavoro può essere considerato una merce da comprare, vendere, usare e riciclare come lo sono, per esempio, i computer e le automobili?) per approdare al più immediato: un mercato in cui la merce è il lavoro delle persone, che peculiarità ha? Vedremo come, cercando di rispondere alla seconda domanda, di fatto si an drà inevitabilmente ad affrontare anche la prima.
L’andamento generale del mercato del lavoro può essere definito sulla base della mobilità di alcune categorie. Ogni istituto di ricerca definisce le proprie; qui di seguito farò riferimento esclusivamente a quelle stabilite dall’ISTAT (Istituto nazionale di statistica).
Conoscere la definizione esatta di tali categorie può apparire noioso e inutile; in realtà, aiuta a leggere correttamente il mercato attuale e i dati che ci provengono dai mass media. I termini più importanti che si devono maneggiare sono: occupati, cioè tutte quelle persone di 15 anni e più che nella settimana in cui si svolge la rilevazione ISTAT delle forze di lavoro;
hanno svolto almeno un’ora di lavoro in una qualsiasi attività che preveda un corrispettivo monetario o in natura;
hanno svolto almeno un’ora di lavoro non retribuito nella ditta di un familiare nella quale collaborano abitualmente;
sono assenti dal lavoro (per esempio, per ferie o malattia). I dipendenti assenti dal lavoro sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi, oppure se durante l’assenza continuano a perce pire almeno il 50% della retribuzione. Gli indipendenti assenti dal lavoro, eccezione dei coadiuvanti familiari (definiti al punto prece dente), sono considerati occupati se, durante il periodo di assenza, mantengono l’attività. I coadiuvanti familiari sono considerati occupati se l’assenza non supera tre mesi;
Non occupati.
È già possibile fare una prima riflessione: le indagini ISTAT includono ne cessariamente fra gli occupati anche chi lavora saltuariamente e in mo do precario. I non occupati si dividono in:
persone in cerca di occupazione, cioè tutte quelle persone tra 15 e 74 anni che:
hanno effettuato almeno un’azione attiva di ricerca di lavoro nei trenta giorni che precedono l’intervista e sono disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due , settimane successive all’intervista;
inizieranno un lavoro entro tre mesi dalla data dell’intervista e sono disponibili a lavorare (o ad avviare un’attività autonoma) entro le due settimane successive all’intervista, qualora fosse possibile anticipare l’inizio del lavoro;
persone non in cerca di occupazione (o non forze di lavoro o inattivi), cioè tutte quelle persone che per scelta o per necessità sono di fatto fuori dal mercato del lavoro.
Fra le persone in cerca di occupazione si definiscono spesso inoccupati coloro che per la prima volta si affacciano al mondo del lavoro (per lo più giovani che hanno appena terminato il percorso di studi).
Il totale delle persone occupate e di quelle in cerca di occupazione viene definito forza lavoro (reale e potenziale). Il tasso di attività è il rap porto tra le persone appartenenti alle forze di lavoro e la popolazione di 15 anni e più. Si differenzia dal tasso di occupazione, in quanto quest’ultimo rappresenta il rapporto tra gli occupati e la popolazione di 15 anni e più (esclude cioè chi cerca lavoro).
Il tasso di disoccupazione è il rapporto tra le persone in cerca di occu pazione e le forze di lavoro (questo indicatore misura quanti di coloro che cercano un lavoro non lo trovano). Viene definito di lunga durata se riguarda in particolare il rapporto fra le persone in cerca di occupa zione da almeno 12 mesi e le forze di lavoro.
Attenzione: una diminuzione del tasso di disoccupazione può non dipendere dall’aumento dei posti di lavoro. Per esempio, come è accaduto in Italia nel primo trimestre del 2007, il calo del tasso di disoccupazione può essere causato dall’aumento del tas so di inattività, cioè delle persone che, pur non lavorando, non stanno più cercando un’occupazione.
Quanto conta il titolo di studio
Le difficoltà di accesso al mercato del lavoro, i costi per l’affitto o l’acquisto di una casa, insieme all’innalzamento del livello medio di scolarizzazione, sono fra le cause principali della prolungata permanenza del giovani all’interno del nucleo familiare d’origine. In molti casi, tale situazione comporta la permanenza fuori o ai margini del mondo del lavoro anche per lunghi periodi, in attesa di un’occupazione adeguata alle aspirazioni. Quanto più lunga è questa attesa, tanto più cresce il rischio di un deterioramento o “invecchiamento” delle competenze professionali acquisite e di una forte demotivazione nella ricerca di un impiego.
Dall’analisi dei dati statistici dell’ultimo decennio disponibili sul sito www.istat.it risulta che quanto più alto è il livello di istruzione conseguito, tanto maggiore è la possibilità di inserimento professionale. Questa considerazione vale per entrambi i sessi e, in particolare, si è osservato come lo svantaggio femminile o territoriale nell’inserimento nel mondo del lavoro diminuisca con il crescere del titolo di studio. Per esempio, soprattutto nella fascia di età 35-54 anni, su 100 donne laureate 87 hanno un’occupazione, mentre su 100 diplomate solo 71 lavorano. Inoltre, al Sud lavora il 90% dei laureati di età compresa fra 35 e 54 anni contro il 73% dei diplomati (benché, sempre in questa fascia di età, il tasso di disoccupazione dei laureati risulti doppio nel Mezzogiorno rispetto al Nord). Inoltre, i laureati (e più in generale coloro che sono in possesso di una qualifica professionale altamente specialistica) subiscono una minore concorrenza rispetto ai colleghi in possesso della sola licenza media o del diploma, che rappresentano circa i due terzi della popolazione giovanile.
Un altro dato che conferma in parte quanto finora evidenziato è il seguente: nel 2004, a distanza di tre anni dal conseguimento del titolo, soltanto il 34,7% dei diplomati di scuola superiore svolgeva un lavoro continuativo, contro il 56,4% dei laureati.
Se si analizzano i dati relativi alla disoccupazione dei giovani laureati o diplomati nei primissimi anni dopo il conseguimento del titolo di studio, sembra quasi che “paghi” più il diploma che non il titolo accademico. Ma se l’indagine viene estesa a un più ampio arco temporale si osserva come la laurea non solo ha un maggior ritorno occupazionale, ma risulta maggiormente soddisfacente sia dal punto di vista delle mansioni svolte sia dal punto di vista retributivo. Per tradurre in numeri quanto fin qui esposto, si consideri che tra i laureati di età compresa tra i 25 e i 34 anni, il tasso di disoccupazione nel 2005 è stato pari al 10,3%, mentre nella fascia successiva (35-64enni) si attestava al 2,0%, valore che rappresenta una soglia di disoccupazione fisiologica del sistema-lavoro e, quindi, non eliminabile.
Questi dati tuttavia vanno interpretati Cum grano salis . Sicuramente un titolo di studio più elevato rappresenta una chiave importante per l’accesso al mercato del lavoro, tuttavia è anche vero che un laureato ha un’età intorno ai 23 – 25 anni ed è quindi più maturo di un diciottenne appena diplomato che si presenta ad un colloquio di lavoro.
Inoltre, gran parte dei diplomati non si offre immediatamente sul mercato del lavoro ma si impegna in corsi di formazione, studio, piccole esperienze di lavoro non regolare che ne rallenta l’ingresso sul mercato del lavoro e li collocano nella classe statistica delle “non forze di lavoro” (Vedi anche la parte relativa all’interpretazione dei dati statistici).
Infine, va considerato poi il grande peso del sommerso, cioè tutte quelle le attività che sfuggono alla registrazione contabile e che non sono dichiarate al fisco che in Italia si stima siano intorno al 35% del PIL (3 attività su 10). Gran parte delle attività professionali svolte da diplomati sfugge in tal modo alla rilevazione dell’Istat, pensiamo ad esempio ai piccoli artigiani, alle piccole o, piccolissime, attività di manutenzione ed assistenza e così via.
La difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro per i neolaureati, invece, sembra in parte attribuibile al fatto che numerosi corsi di laurea spesso non forniscono né una preparazione idonea a un immediato inserimento professionale né il necessario collegamento tra iter formativo e effettiva domanda di lavoro del territorio. Il moltiplicarsi dei titoli di studio seguito alla riforma universitaria (Decreto Ministeriale 509 del 3 novembre 1999) che ha introdotto diversi livelli di formazione universitaria, oltre alla classica laurea a ciclo unico (quadriennale o quinquennale): la laurea triennale, detta Laurea (L) e la Laurea Specialistica o Magistrale, che prevede altri due anni di specializzazione (LS).
Ma tra le cause delle difficoltà di inserimento dei giovani laureati consideriamo anche:
la diffusa diffidenza da parte dei piccoli e medi imprenditori verso i laureati, riconducibile al fatto che un laureato costa di più, è più difficilmente inseribile in una struttura rigidamente organizzata;
la tendenza di molti studenti a vivere l’università come un luogo comodo in cui “parcheggiarsi”, per rimandare il più possibile l’ingresso nel mondo del lavoro. Studenti con questa tendenza evitano di cercare occasioni di lavoro, stage o tirocinio durante gli anni di studio e, una volta laureati, risultano poco o per nulla appetibili alle aziende, perché non hanno mai fatto la “prima esperienza”.
Oltre ai dati sull’andamento dell’occupazione per titolo di studio, è interessante farsi un’idea delle opportunità di inserimento professionale delle singole lauree. In altre parole, ci si può chiedere quali lauree hanno consentito un inserimento professionale più soddisfacente, cioè qual è la condizione dei diversi laureati a circa tre anni dalla conclusione degli studi, quale il tipo di occupazione trovata, quale il grado di coerenza fra lavoro svolto e formazione ricevuta all’università. Quest’ultimo punto non è da sottovalutare, perché trovare un lavoro che ha poco —o addirittura nulla — a che fare con il titolo conseguito può essere un’esperienza frustrante, tanto più se inaspettata o subita. Eppure in Italia, tra i laureati che hanno iniziato a lavorare subito dopo la laurea, il 32% svolge un’attività per la quale tale titolo di studio non rappresenta un requisito necessario.
Rispetto alla possibilità di trovare relativamente presto un lavoro stabile, i laureati dei gruppi di corsi di studio di Ingegneria, Chimico-farmaceutico ed Economico-statistico si sono trovati avvantaggiati. In particolari corsi di laurea di maggior “successo” dal punto di vista occupazionale sono risultati Ingegneria gestionale (88,6% di occupati in modo stabile), Ingegneria delle telecomunicazioni (87,5%), Ingegneria informatica (84,7%), Farmacia (79,6%) ed Economia Aziendale (76,7%). Hanno incontrato molte più difficoltà, invece, i laureati in Scienze motorie (20,6% di lavoratori stabili su 90% occupati), Servizio sociale (9,5% lavoratori stabili su 99,6% occupati), dei corsi del gruppo giuridico non finalizzati alla formazione di notaio, avvocato o magistrato (23,6% di lavoratori stabili su 93% occupati) e Pedagogia (18% di lavoratori stabili su 79,8% occupati).
I laureati in Medicina e chirurgia risultano occupati solo al 10,7% a tre anni dal conseguimento del titolo, ma tale dato non deve fuorviare: è parte integrante del loro percorso formativo frequentare dopo la laurea corsi di specializzazione (che pure includono attività lavorativa retribuita) e ritardare quindi l’ingresso definitivo nel mondo del lavoro. Discorso analogo va fatto per i laureati in Giurisprudenza che aspirano alle professioni di notaio, avvocato o magistrato.
Anche quet’ultimo dato, va preso cum grano salis. Il lavoro stabile, oggi non rappresenta più, come un tempo, l’unica opportunità di crescita professionale. Le statistiche si soffermano spesso sul “posto fisso” ma oggi, in molti casi un contratto di lavoro da dipendente a tempo indeterminato, con la mobilità e il cambiamento continuo del mercato del lavoro, l’aumento del costo della vita e l’incertezza sui mercati, può rappresentare un freno alla propria carriera e alle prospettive future. Con i tempi che corrono, non è per niente detto che le condizioni di vita di un laureato in ingegneria che viene assunto in una azienda metalmeccanica, in termini di reddito e di prospettiva di crescita, siano migliori di un laureato in scienze motorie che decide di fare il personal trainer e lavorare come libero professionista o, di un esperto di massaggio shatsu. Anzi questa crisi ci dimostra che è esattamente il contrario!
Per quanto riguarda le modalità di accesso al mondo del lavoro, il ca nale privilegiato continua a essere la conoscenza diretta, da non confondere con la poco corretta “raccomandazione”.
La segnalazione è un metodo di diffusione di informazioni vecchio come il mondo ed è semplicemente basata sul passaparola fra conoscenti. Non assicura un posto di lavoro, bensì un contatto per un colloquio di approfondimento.
La conoscenza diretta ha per l’azienda una serie di indubbi vantaggi:
non costa nulla all’azienda;
consente di trovare personale in tempi relativamente contenuti;
la persona, interna all’azienda, che fa la segnalazione di un possi bile candidato garantisce della serietà di quest’ultimo (difficilmente proporrebbe un candidato impresentabile, ne andrebbe della sua reputazione);
la segnalazione, se accettata, non impegna l’azienda in nessun modo e, come anticipato, sfocia generalmente in un colloquio individuale dal quale può seguire o meno un’assunzione.
Anche il presentarsi di persona a imprenditori (cosa meno difficile di quanto si possa pensare, se si tiene presente che il sistema produttivo italiano è composto essenzialmente da piccole e medie imprese) garan tisce mediamente buoni risultati.
Colpisce infine, come dimostra una recente ricerca di Unioncamere-Mi nistero del lavoro, che il canale forse più conosciuto e seguito da chi inizia a cercarsi un’occupazione — le inserzioni su quotidiani e stampa specializzata — sia poco rilevante per le imprese (10%).
Ma veniamo ai dati sui canali di assunzione privilegiati dalle imprese:
conoscenza diretta: 30,5%;
banche dati interne aziendali: 23,6%;1
segnalazione di conoscenti/fornitori: 18,2%;
quotidiani e stampa specializzata: 9,5%;
centri per l’impiego (ex collocamento): 6,4%;
società di lavoro interinale: 3,5%;
società di selezione, associazioni di categoria: 2,7%;
Internet: 0,9%;2
altro: 4,8%.
Dal punto di vista delle tipologie di contratti con i quali si viene assunti, vi sono molte differenze a seconda non solo dell’età e dell’esperienza maturata, ma anche del settore professionale e del la zona geografica.
Anche dal punto di vista del numero di posti di lavoro effettivi (e non delle percentuali appena viste), nel corso degli anni si è registrato un calo significativo nell’Industria (la tendenza negativa dura ormai da oltre un decennio per quanto riguarda le imprese con più di 500 dipen denti) e uno ancora più significativo in quello dell’Agricoltura, a fronte di un modesto incremento nel settore dei Servizi. Fa eccezione il comparto delle costruzioni, che segna una robusta crescita e in cui il numero di lavoratori autonomi è rimasto sostanzialmente invariato, a dif ferenza di tutti gli altri settori in cui, al contrario, la riduzione dell’occu pazione indipendente è stata intensa.
Sul versante dell’età e dell’esperienza professionale, oggi si tende ad assumere con contratto a tempo indeterminato quelle figure già sufficientemente “mature” e che sono di difficile reperibilità sul mercato, mentre si privilegiano forme di contratto “atipico” per le altre figure o per assunzioni di giovani alla prima esperienza lavorativa.
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Flessibilità o precarietà per i giovani alla ricerca di Lavoro?
Per moltissimi giovani l’ingresso nel mondo del lavoro oggi avviene attraverso forme contrattuali “atipiche” (o “parasubordinate”), così definite per distinguerle da quelle tradizionalmente impiegate dalle (in particolare, il lavoro dipendente a tempo indeterminato e pieno). In parte codificate dalla cosiddetta Riforma Biagi, negli ultimi anni le forme atipiche di lavoro hanno segnato una crescita significativamente superiore rispetto a quelle “tipiche”, soprattutto rispetto al lavoro dipendente a tempo pieno, che comunque rimane ancora, se guardiamo alla componente maschile degli occupati, il modello occupaziona le italiano principale (ISTAT, Annuario statistico 2006).
Il part-time continua ad avere in Italia una diffusione inferiore alla media e, per il 60% dei giovani, rappresenta una scelta subìta, obbligata. Più in generale, la flessibilità raggiunta negli orari di lavoro è molto forte, specialmente fra i lavoratori autonomi, con problemi nella gestione della vita privata e famigliare.
Dai dati statistici emerge che sono le donne a vivere di più questa maggiore flessibilità negli orari di come conferma il fatto che negli ultimi due anni non sono più loro a fare crescere il tasso di occupazione in Italia.
Come per gli indicatori di occupazione e disoccupazione, anche per riguarda i contratti atipici, la situazione italiana è molto articolata perché i modelli organizzativi e tecnologici delle imprese sono in rapido mutamento (mutamento accelerato dalla complessità e dall’intensità della competizione) sia perché è possibile riscontrare forti e nell’impiego di contratti atipici a seconda della collocazione geografica (nazionale e regionale), dell’età, del sesso e della qualifica professionale dei lavoratori.
Per esempio, i contratti di collaborazione sono stati impiegati in Italia sopra ttutto nelle zone in cui il mercato del lavoro è più attivo e disoccupazione più bassi; mentre nelle zone a tassi di attività bassi, le politiche dell’occupazione basate su forme come l’apprendistato, i contratti di formazione o l’interinale sembrano fallire anche per la concorrenza del lavoro nero.
Tutte le indagini sul lavoro atipico, anche a livello europeo, convergono nell’affermare che i contratti flessibili possono rappresentare un’opportunità di impiego per i lavoratori a bassa qualifica e per i giovani alla prima esperi enza: per circa un terzo di loro il contratto si trasforma entro un anno in forme stabili di assunzione. Ma per la metà dei lavoratori temporanei la condizione lavorativa instabile permane pressoché immutabile di anno in anno, tanto che circa un quinto finisce per ricadere nella disoccupazione. Per costoro, evidentemente, la “flessibilità” dei contratti temporanei non rappresenta una scelta legata a una maggiore autonomia o un’opportunità per fare esperienza e farsi conoscere, ma una pericolosa costrizione.
Sono soprattutto i giovani che vivono in contesti famigliari disagiati a pagare il prezzo più alto di questa precarietà. Per essere più precisi, le forme di flessibilità sono prevalenti e spesso associate a condizioni di precarietà quando i livelli di capitale umano sono bassi e il sostegno familiare insufficiente: oltre il 40% dei giovani con contratto a termine,co.co.co o prestatori occasionali (circa 400.000 unità), vive in famiglie dove nessun altro membro è occupato oppure, se occupato, ha un contratto a termine o di basso livello. Di questi solo il 1 3% ha un laurea. Altro fattore discriminante rappresentato dal poter vivere in una casa di proprietà piuttosto che dovere sostenere i costi di un affitto.
Le regole del mercato del Lavoro: La riforma “Biagi”
A partire dalla fine del 2003, anno di entrata in vigore della riforma, sono state introdotte numerose novità nella regolamentazione del “mercato del lavoro”. Innanzitutto l’intermediazione fra domanda e offerta di lavoro, un tempo gestita in esclusiva dalla sfera pubblica tramite gli Uffici di Collocamento, è stata aperta anche ai privati in grado di garantire standard di servizio definiti per legge. Puoi scoprire facilmente quali sono le società attualmente autorizzate a occuparsi, a vario titolo, di mercato del lavoro consultando l’albo del Ministero del Lavoro appositamente realizzato. Tale albo comprende i seguenti tipi di agenzie:
Somministrazione del lavoro: si tratta di società che forniscono ad altre società dei propri lavoratori, nel senso che i lavoratori sono dipendenti della società “fornitrice” (brutta parola presente nel testo di legge) e non di quella “utilizzatrice”. La società utilizzatrice stabilisce compiti e ruoli del lavoratore. Queste agenzie, dal 2007, sono abilitate esclu sivamente alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Intermediazione: si occupano di promuovere e gestire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro tramite raccolta dei CV, presele zione, costituzione di una banca dati, progettazione ed erogazione di attività formative finalizzate all’inserimento lavorativo ecc. Si rivolgono anche alle fasce svantaggiate quali disabili, disoccupati di lunga durata ecc.
Ricerca e selezione del personale: su richiesta delle imprese, svol gono analisi dei loro fabbisogni in termini di risorse umane, program mano ed effettuano le attività di ricerca delle candidature più idonee, valutano i profili individuati e la necessità o meno di un corso di for mazione per l’inserimento del candidato nel contesto lavorativo e accompagnano il neoassunto nella prima fase dell’inserimento.
Supporto alla ricollocazione professionale: offrono servizi di ri-collo camento a seguito di un licenziamento individuale (outplacement per quadri e dirigenti) o di un gruppo di lavoratori, su specifico incarico dell’azienda che licenzia (che dunque ne sostiene i costi), anche in base ad accordi sindacali. I mezzi per ricollocare i lavoratori licenziati o in fase di licenziamento vanno dall’analisi delle competenze alla for mazione su discipline specifiche, dall’accompagnamento nella gestione dei primi contatti con i potenziali nuovi datori di lavoro al sostegno nei primi mesi della nuova occupazione.
La riforma Biagi, inoltre, ha riformato apprendistato e part-time e ha introdotto tutta una serie di contratti per regolarizzare alcune forme di lavoro e rendere più flessibile l’ingresso nel mercato. In molti casi, come rileva una ricerca di Confindustria, tutte queste novità hanno disorientato le società medio-piccole. Forme come il lavoro con diviso (job sharing), il lavoro a chiamata o lo staff leasing a tempo inde terminato (dal 2007 non più consentito per legge), sono state poco o per nulla usate, mentre quelle più vicine alle forme contrattuali prece denti la riforma hanno visto da subito un utilizzo diffuso, come la som ministrazione a termine (ex lavoro interinale) o il contratto a progetto (versione rivista e aggiornata del contratto di collaborazione coordinata e continuativa o “co.co.co.”), ma anche il contratto di inserimento (ex contratto di formazione e lavoro).
Ma veniamo ora a una breve descrizione dei nuovi contratti.
Lavoro a progetto: sostituisce i vecchi contratti di collaborazione coordinata e continuativa e prevede che l’impresa specifichi obiet tivi, durata e compenso relativo al progetto assegnato al lavora tore. Si tratta di un rapporto autonomo in cui il lavoratore assume stabilmente, senza vincolo di subordinazione, l’incarico di eseguire un progetto o un programma di lavoro o una fase, con lavoro pre valentemente o esclusivamente proprio, concordando diretta mente con il committente le modalità di esecuzione, la durata, criteri e i tempi di corresponsione del compenso. Il rapporto cessa nel momento in cui la realizzazione del progetto è portata a ter mine. Una delle ragioni per cui è stato introdotto il contratto a pro getto è anche quella di smascherare i rapporti di collaborazione continuativa (che per legge dovrebbero essere “senza vincolo di subordinazione” e che prevedono meno oneri fiscali per il datore e meno vincoli al licenziamento), che in realtà si svolgono a tutti gli effetti come un lavoro dipendente (cioè subordinato).
Staff leasing (o leasing di manodopera): questa tipologia di con tratto introdotta con la riforma Biagi è stata abolita nel 2007; pre vedeva la riforma delle società di somministrazione di lavoro, in quanto consentiva loro di “affittare” lavoratori a tempo determinato anche per l’attività ordinaria dell’azienda (e non più soltanto straordi naria o d’emergenza); inoltre, aveva introdotto l’affitto a tempo inde terminato per: a) i servizi di consulenza nel settore informatico; b) i servizi di pulizia, custodia, portineria; c) la gestione di biblioteche, par chi, musei; d) le attività di consulenza direzionale; e) le attività di marketing e di analisi del mercato; f) la gestione di cali center; g) per i lavori connessi alle costruzioni edilizie. Come anticipato, dal 2007 il leasing di manodopera non è più consentito.
Job sharing: è il cosiddetto “lavoro ripartito” e consiste in un con tratto, anche a tempo indeterminato, che introduce il principio della condivisione del lavoro, secondo il quale due o più persone in accordo con il datore assumono un’unica occupazione. Ciò signi fica che ciascuno sarà indifferentemente tenuto nei confronti del datore all’esecuzione della stessa prestazione. Il contratto di job sharing prevede quindi due intestatari, che possono liberamente concordare come ripartirsi gli incarichi e come suddividersi in due o più fasce orarie un lavoro a tempo pieno.
Job on call (“lavoro a chiamata” o “intermittente”): il lavoratore si mette a disposizione del datore e aspetta la sua chiamata; la pre stazione viene quindi svolta in maniera discontinua e la disponibi lità del prestatore potrebbe essere ricompensata da una sorta di indennità corrisposta dal datore, oltre alla retribuzione per le ore effettivamente lavorate. Si tratta per lo più di un contratto a tempo indeterminato. Dal 2007 resta valido solo per due settori: il turismo e lo spettacolo.
Lavoro occasionale: prevede dei voucher prepagati da 7,5 euro per ogni ora di lavoro. Possono acquistarli tutti coloro che hanno bisogno di piccoli lavori domestici a carattere straordinario (giardi naggio, baby sitter, badanti) o di ripetizioni private. Dei 7,5 euro il lavoratore ne percepirà solo 5,8, esenti da imposizioni fiscali. La differenza andrà a Inps e Inali. Solo 20 centesimi andranno alle concessionarie del servizio (gli enti che vendono i voucher), dove il lavoratore potrà anche riscuotere la retribuzione. La prestazione occasionale non può comunque durare più di trenta giorni l’anno né essere retribuita con un compenso superiore a cinquemila euro dallo stesso committente.
Solo quattro categorie potranno svolgere questo tipo di lavoro: 1) disoccupati da oltre un anno; 2) casalinghe, studenti e pensionati; 3) disabili e soggetti in comunità di recupero; 4) lavoratori extraco munitari in regola nei 6 mesi successivi alla perdita del lavoro.
Contratto d’inserimento: tra le nuove forme contrattuali intro dotte dalla riforma del lavoro, il contratto d’inserimento, che sosti tuisce il contratto di Formazione e Lavoro, è il preferito dalle imprese. Può essere utilizzato per favorire l’inserimento delle seguenti categorie di lavoratori:
soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni;
disoccupati di lunga durata da 29 fino a 32 anni;
lavoratori con più di 50 anni di età che siano privi di un posto di lavoro;
lavoratori che desiderino riprendere un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno due anni;
donne di qualsiasi età residenti in un’area geografica a basso tasso di occupazione femminile;
persone riconosciute affette, ai sensi della normativa vigente, da un grave handicap fisico, mentale o psichico.
Può durare da un minimo di 9 a un massimo di 18 mesi e non è rinnovabile tra le stesse parti.
Tirocini estivi di orientamento: si tratta di tirocini che si svolgono du rante le vacanze estive e sono rivolti a giovani, regolarmente iscritti a un ciclo di studi (università o qualsiasi istituto scolastico di ogni ordine e grado), con fini di orientamento e di formazione.
Sarà forse già capitato, malgrado le migliori intenzioni, di perdersi o di arrivare a un punto morto nella ricerca del lavoro. Questo esito dipende molto spesso, oltre che dalla complessità intrinseca al contesto in cui ci si muove, più di quanto si possa immaginare, da errori commessi proprio nella strategia di ricerca: errori che vanificano gli sforzi compiuti o che portano a tralasciare occasioni importanti.
Cosa significa pianificare la strategia:
Sforzarsi di definire in ogni suo aspetto il lavoro che desideriamo svolgere.
Individuare le fonti più efficaci e attendibili per raccogliere le informazioni sulle aziende/enti da contattare per il lavoro che avremo così definito
Ordinare tali informazioni per rilevanza, per aderenza al profilo definito al punto 1 e per modalità di contatto.
Programmare, su un’agenda/calendario, le attività di ricerca da svolgere ogni giorno.
Tenere traccia, per iscritto, delle difficoltà incontrate e degli errori commessi durante le diverse fasi della ricerca, per farne tesoro e non ripeterli in futuro.
È giunto il momento di valutare, nel concreto, i possibili punti di incon tro fra il ruolo professionale che possiamo e vogliamo svolgere (i contenuti, le com petenze e l’impegno richiesti in termini di tempo e di responsabi lità, la possibile retribuzione, i percorsi di carriera ecc. ) e gli aspetti che caratterizzano il settore lavorativo a cui siamo interessati.
II fine è quello di restringere e personalizzare la ricerca di la voro, non solo per ottimizzare il tempo e le risorse da dedi carle (generalmente limitate), ma anche per renderla più efficace e aderente ai nostri desideri e caratteristiche. Al contrario, cercare un lavoro avendo informazioni insufficienti sulle reali opportunità professionali porta facilmente al fallimento della ricerca, con la conseguenza pressoché inevitabile di portarci a pensare (erroneamente) che non ci chiamano perché “non valiamo niente”.
Fermati un istante!Questa Mini-guida alla ricerca di lavoro è un piccolo riassunto, di poche pagine, del mio testo “Lavoro; Trovarlo e cambiarlo anche con questa crisi” disponibile in due versioni Free (gratuita) e Pro (al costo di 5,27 €). Con taglio pratico ed approccio positivo, il testo offre tanti strumenti di orientamento alle scelte professionali e una serie di spunti per migliorare la propria ricerca, rendendola sempre più efficace. Se, in questo periodo della tua vita stai cercando lavoro o sei un operatore di orientamento o un formatore nella guida troverai tantissime informazioni utili che ti permetteranno di raggiungere tutti i tuoi obiettivi professionali. Scegli la tua copia ti assicuro che troverai nelle pagine della guida le risorse utili per quello che stai cercando. Link al libro
Quale lavoro vorresti svolgere?
Ecco i primi tre passi per cercare una risposta.
Si deve iniziare a capire quale distanza separa il lavoro ideale dalle nostre attuali capacità e conoscenze.
A questo punto si passa a un’analisi ancora più dettagliata di tale distanza, che aiuta a definire in modo analitico “chi vorremmo diventare”.
Il risultato di questo confronto dovrebbe stimolare a ridurre la distanza fra la situazione attuale e il lavoro che speriamo di fare, suggerendo specifiche azioni concrete di “avvicinamento”.
È probabile che nel passare al punto 2 nasca il seguente dubbio: d’accordo, io in generale sento che mi piacerebbe fare, per esempio, il capocuoco in un ristorante, ma non so esattamente quali competenze e conoscenze deve possedere un capocuoco, dove può lavorare, quante ore lavora mediamente, quanto guadagna ecc. Dove posso raccogliere queste informazioni?
La domanda è più che lecita e la possibile risposta è articolata. È possi bile raccogliere informazioni utili:
presso le stesse organizzazioni da cui trarre notizie su aziende e persone da contattare per proporre la tua candidatura
svolgendo brevi esperienze di lavoro (come lo stage) in quel ruolo/settore;
parlando con conoscenti che svolgono già quella professione;
utilizzando le banche dati presenti su Internet
leggendo libri e riviste di settore.
Raccolte informazioni di questo tipo sul lavoro cui aspiriamo, siamo pronti per stenderne il profilo, sempre ricordando che il lavoro dei nostri sogni rappresenta per definizione un punto di arrivo, un obiettivo cui avvicinarti il più possibile passo dopo passo, non un punto di partenza.
L’ideale è seguire un corso di formazione o svolgere un’esperienza lavorativa a tempo parziale mentre cerchiamo lavoro, per fa re in modo che il tempo della ricerca ci porti comunque dei buoni frutti.
Come scegliere un corso di formazione?
Frequentare un corso di formazione rappresenta un considerevole investimento di tempo, denaro e energie. E quindi fondamentale valutare con molta cura quale corso scegliere, sulla base di alcuni fattori essenziali.
Garanzia: è importante capire quale sia l’esperienza e quali le capacità dell’ente che organizza il corso; dobbiamo dunque scoprire da quanti anni quell’ente opera nel campo della formazione e quale reputazione vanta tra gli operatori del settore.
Utilità: la figura professionale oggetto del corso può trovare effettivamente spazio nel mercato del lavoro? Dobbiamo informarci presso le imprese che potrebbero essere interessate a quella figura professionale.
Qualità didattica: prima di iscriversi sarebbe meglio che scoprire chi sono i docenti, che tipo di stage è previsto dal corso, che tipo di tecnologie o strumenti vengono utilizzati (computer, macchinari ecc.) e che tipo di assistenza viene fornita fuori dall’aula (possibilità di accedere a sale computer o a biblioteche ecc.).
Riscontro: se il corso è già stato proposto negli anni precedenti, dobbiamo scoprire quale è stata la percentuale di ex-allievi assunti (non fidiamoci solo delle promesse dei grafici riportati nella brochure della scuola). Se il corso è al primo anno è opportuno valutare se ci sono degli accordi con le imprese del settore per assumere o quantomeno per valutare le candidature dei partecipanti al corso.
Efficienza rispetto agli altri corsi: molti corsi si assomigliano fra loro in termini di contenuti e di prospettive. Per scegliere si deve valutare durata, tempi della formazione (ripartizione tra periodi di formazione teorica e periodi formazione pratica) e luogo (in che città o Regione si svolge il corso rispetto al nostro luogo di residenza?).
Assistenza post-corso: se l’ente organizzatore propone più corsi riguardanti il settore prescelto, significa che può offrire all’ex-allievo ulteriori occasioni aggiornamento e di perfezionamento. Più in generale, il fatto di mantenere rapporti continui con gli ex-allievi e indice di serietà dell’ente di formazione.
Dove vorrei lavorare?
La prima cosa importante da tenere presente è che ogni settore di attività può essere scomposto in sotto-settori. Per esempio, il settore dei servizi comprende al suo interno il turismo, la ristorazione, la grafica, l’editoria, le telecomunicazioni ecc. Ma a sua volta l’editoria può dividersi in editoria professionale/specialistica, generalista, per ragazzi, nar rativa, di divulgazione scientifica ecc. E ognuno di questi sotto-settori richiede capacità e competenze differenti, oltre a prevedere diverse modalità di accesso, legate anche alla crescita o meno nell’attuale mer cato editoriale della rispettiva area di attività.
Si aggiunga inoltre che i settori professionali possono anche essere rag gruppati in base alle priorità. Così, per esempio, se possediamo una lau rea in Economia e commercio con specializzazione in Controllo dei costi, ma abbiamo capito che la nostra priorità è lavorare nel sociale (perché è un settore che ci ha appassionato nel corso delle nostre esperienze di volontariato), si può cercare di far valere la nostra specializzazione universitaria presso orga nizzazioni che si occupano di combattere differenti forme di disagio (tossi codipendenza, devianza giovanile, immigrazione, disabilità ecc.): non lavoreremo a diretto contatto con le persone in difficoltà, trattandosi di un ruolo essenzialmente amministrativo, ma daremo un contributo cruciale a tali organizzazioni, affinché la buona gestione dei conti (ottimizzazione della spesa, riduzione degli sprechi ecc.) consenta loro di realizzare progetti sempre più importanti. Senza contare che, una volta assunti, nulla impedisce che si possa lavorare anche a contatto con le persone cui l’organizzazione si dedica, definendo il nostro ruolo in progetti specifici, insieme a coloro che ormai sono diventati nostri colleghi.
Da un punto di vista pratico, per giungere a un elenco delle società/istituzioni da contattare si può procedere muovendosi in due direzioni.
Dal generale al particolare. Se ad esempio vogliamo lavorare nella grafica pubblicitaria, abbiamo una buona conoscenza dell’inglese e siamo in cerca di un’organizzazione semi-strutturata in cui fare un’esperienza sul campo, possiamo iniziare a delimitare il settore partendo dalle società che si occupano di computer grafica, eliminare quelle che non si occupano di grafica pubblicitaria, selezionare quelle che lavorano in un contesto internazionale (in cui l’inglese è essenziale e poi dare priorità a quelle che hanno almeno un sito web (indicatore indiretto di una certa strutturazione). Con questo percorso abbiamo identificato un primo insieme di società da cui partire. Questo non significa che si debba escludere ogni altro ente che non rientri in questo insieme, ma che, in assenza di fatti nuovi, le organizzazioni che ci interessano di più stanno in quell’insieme.
Dal particolare al generale. Se conosciamo o abbiamo fatto esperienza in un’azienda che ci è congeniale, possiamo partire da essa per identificare quelle che le sono più simili, operano nello stesso campo di attività o in campi omogenei, operano in are geografiche nelle quali saremmo disposti a lavorare ecc.
È importante che le dimensioni del nostro elenco di società da contat tare sia ragionevolmente contenuto: non così ampio da perderci, non così ristretto da chiuderci in un vicolo cieco ai primi insuccessi. Inoltre, è importante che la gestione del nostro settore sia flessibile: non ha alcun senso escludere un’organizzazione interessante che ci è capitato di conoscere solo perché non possiede proprio tutte le caratteristiche che avevamo individuato inizialmente.
Un’ultima considerazione: se la nostra professionalità ce lo consente, possiamo rivolgere la ricerca a più di un settore professionale. Si tenga presente, però, che ciascun settore richiederà un approccio differente.
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Come individuare le persone da contattare?
A questo punto, si devono individuare le persone che operano all’interno del le organizzazioni che ci interessano e che possono rivelarsi alleati deter minanti per il nostro futuro professionale. All’interno di una società possiamo in dividuare anche più di un contatto.
In un mercato del lavoro molto competitivo, non possiamo affidare le nostre possibilità esclusivamente a canali di comunicazione impersonali come CV, lettere di presentazione, e-mail ecc. Ogni società riceve ogni giorno centinaia di contatti formali di questo tipo, che vengono per lo più ignorati — soprattutto quando non sollecitati. In questo modo, il nostro ta lento rischia di non essere mai visibile alle persone che potrebbero es serne interessate.
Come capire chi possono essere gli interlocutori migliori? A questo punto del percorso di ricerca dovrebbe essere molto semplice: le persone che lavorano nella divisione/reparto più vicini al le nostre caratteristiche professionali attuali e che ricoprono ruoli di responsabilità sufficienti a prendere la decisione di contattarci per un colloquio. Relativamente a quest’ultimo aspetto, molto dipende dalle dimensioni della società cui ci rivolgiamo: se è medio-piccola, è molto probabile che sia lo stesso titolare/direttore a occuparsi della selezione nuove risorse; se è grande, vi saranno figure intermedie appositamente allocate a tale compito (la richiesta di valutare una nuova risorsa può venire dal responsabile di divisione/reparto, anche se poi le procedure di selezione vengono svolte dall’ufficio risorse umane).
Si può anche procedere in senso opposto: se nella ricerca ci imbattiamo in persone che ci sembrano interessanti e/o che operano nel nostro stesso settore, chiediamo loro i recapiti e contattiamole.
Coinvolgo la rete informale delle mie conoscenze
Con la dicitura “rete informale” si intendono tutte le persone (amici, pareri e conoscenti), che possono informarci dell’esistenza di opportunità d lavoro presso aziende o altri enti con i quali essi sono per qualche motivo in contatto.
Questo canale informativo è molto più prezioso di quanto potrebbe a prima vista sembrare (è il canale preferito dalle aziende) e non va assolutamente sottovalutato. Infatti, capita spesso che la ricerca di nuovo personale sia scarsamente divulgata a causa degli elevati costi di una società di ricerca e selezione o per l’urgenza della ricerca stessa. Dunque, l’unica alternativa per un imprenditore, a costo zero e molto rapida, è quella di chiedere prima di tutto ai propri dipendenti e ai colleghi se conoscono qualche giovane “in gamba” in cerca di lavoro. Notizie di questo tipo sono trasmesse solo oralmente, da conoscente a conoscente.
Anche in questo caso non si tratta di diffondere l’idea che stiamo cercan do un lavoro “qualsiasi a tutti i costi” (anche se fosse vero, è una con fidenza da fare solo alle persone più fidate…), ma che siamo alla ricerca di contatti per valutare opportunità professionali nel settore e per il ruolo che ci interessano.
Comunicare alla rete informale che stiamo cercando lavoro non basta: la rete diventa veramente efficace solo se è costantemente seguita (il che non significa diventare insistenti…). Per esem pio, possiamo fare delle telefonate o scrivere delle e-mail periodicamente per ringraziare dell’interessamento e chiedere se vi sono delle novità, sfruttando una sezione della stessa agenda che abbiamo utilizzato per i con tatti alle aziende. A volte i conoscenti non aiutano non perché sono egoisti o non hanno tempo, ma perché se ne dimenticano. D’altro canto, il rispetto di alcune regole base nella gestione delle relazioni è essenziale. Aspetti come chiedere con intelligenza, interagire con cor tesia, ringraziare puntualmente, evitare di essere assillanti sono di fon damentale importanza.
Infine, la rete informale funziona a due vie: chiediamoci quali vantaggi possiamo portare ai nostri contatti in cambio dei benefici che possiamo trarne. Non stiamo ovviamente parlando di corruzione, ma di qualcosa di molto più ba nale: si è molto più disponibili ad aiutare persone con cui esiste un autentico scambio su più livelli (affettivo, culturale, professionale ecc.). Per esempio, non puoi pretendere di avere accesso alle informa zioni altrui se non sei mai stato disponibile a condividere le tue.
Utilizzo le fonti di informazione secondarie
Sono molteplici oggi i punti di riferimento “generalisti”, sia pubblici sia privati, per chi è in cerca di occupazione. Essi possono costituire una buona integrazione, anche se scontano il fatto di essere meno mirati e, dunque meno efficaci. Inoltre, i dati mostrano chiaramente che — come fonti dirette di occupazione e non semplicemente di informazione — quelle seguito elencate coprono solo una piccolissima parte dell’incontro domanda/offerta di lavoro.
I Centri per l’Impiego
Le società private di ricerca e selezione
Le Camere di commercio
I Sindacati
Le associazioni imprenditoriali, di categoria e gli ordini professionali
Gli uffici Informagiovani
I mass media
Internet
Pianificare la ricerca significa anche, come si è già sottolineato, non per dere le informazioni che si sono acquisite, organizzarle e utilizzarle co me trampolino per tuffarti nella ricerca vera e propria. Il modo migliore è quello di creare un database o un archivio cartaceo di tutte le società che desideriamo contattare, in cui riportare tutte le infor mazioni essenziali. Si dovrebbe immaginare questo archivio come una sorta di schedario, con sultabile rapidamente ogni volta che ne hai necessità.
È importante organizzare la ricerca in modo da sfruttare al meglio il tempo ed evitare di rimanere inghiottito dalla confusione, soprattutto se il tempo a disposizione è limitato e il rischio che altri impegni entrino in com petizione con le attività di ricerca è elevato.
Organizzare la ricerca significa impostarla come se fosse un’attività pro fessionale vera e propria: si deve stabilire con la massima chiarezza possi bile priorità e obiettivi, tempi di lavoro e scadenze, stato di avanzamen to attività, verifica dei risultati e — perché no — i premi che avremo meritato per i risultati raggiunti di volta in volta. Per realizzare la nostra attività professionale, possono esserci utili due sem plici strumenti:
un calendario di lavoro (meglio se settimanale);
un computer.
Il calendario di lavoro consentirà di stabilire volta per volta quali azio ni intendiamo realizzare (anche rispetto alle scadenze) e di assumersi l’impe gno necessario. Non abbiamo bisogno di uno strumento particolarmente so fisticato: basta un’agenda (da dedicare esclusivamente alla ricerca per evitare pasticci…).
Il computer serve a tenere traccia delle nostre operazioni e — soprattutto —ad archiviare in modo intelligente le importanti informazioni raccolte durante la ricerca. Un sistema informativo ridurrà le probabi lità di perdere messaggi di posta elettronica importanti (come le candidature o le risposte ricevute), permetterà di organizzare efficien temente i risultati della navigazione sul web e di archiviare docu menti preziosi.
Un altro esempio dell’utilità di avere un calendario delle attività svolte e future: se una società cui abbiamo spedito il CV dopo un certo periodo non ha ancora risposto, possiamo decidere di mandare un’ulteriore lettera (ma gari con un aggiornamento del nostro profilo), oppure di telefonare per sa pere se il destinatario ha avuto modo di leggere il CV (o a che punto è il processo di selezione, se abbiamo partecipato a una selezione su segnala zione di un amico). Il sistema informativo consente di misurare in modo non casuale il tempo che deve passare prima di rifarsi vivi: se lo facciamo troppo presto, non lasciamo alla società e al nostro referente il tempo necessa rio (le aziende non leggono CV per lavoro!) e rischiamo di ap parire facilmente ansiosi e insistenti; se lo facciamo troppo tardi, può pas sare l’idea che non siamo realmente interessati. Naturalmente non esiste un numero di giorni prefissato, anche se 15-20 giorni possono conside rarsi un tempo mediamente ragionevole di attesa.
L’archivio ha un ulteriore vantaggio: consente di valutare i ri scontri ricevuti anche in funzione del modo in cui ci siamo proposti. È, in fine, un modo semplice per ricordarci della posizione offerta nel caso ve nissimo chiamati per un colloqui. Si può ovviamente fare a meno di tutti questi strumenti, ma la nostra attività rischia di essere più faticosa e meno efficace.
Lavorare sul tuo progetto professionale ti permette di fare scelte e pren dere decisioni che possono condurti più facilmente verso gli obiettivi personali e lavorativi che hai definito. Tali punti di arrivo, all’interno del settore che hai individuato, non devono essere né troppi — altrimenti il tuo lavoro di ricerca diventa incontrollabile e dispersivo, cioè inefficace — né troppo pochi — altrimenti ai primi insuccessi ti troveresti in un vico lo cieco. Non è detto, però, che tu debba necessariamente dedicarti in via esclusiva agli obiettivi che hai pianificato: se lungo la strada trovas si deviazioni interessanti, niente ti impedisce di percorrerle, a con dizione che tu sia consapevole della destinazione alla quale ti avvicini percorrendo la nuova strada. Il rischio, infatti, è quello di perderti in mille direzioni diverse, senza mai arrivare a una vera destinazione.
A cura di Luciano Cassese e Michele Barbaro
Leggendo mi viene in mente la dieta senza muco?? specie per la colazione….
Cos’è la dieta senza muco?
Si Anna, la dieta senza muco di Arnold Ehret descrive dettagliatamente ciò che è salutare o meno per l’uomo. Il testo sarebbe da introdurre in tutte le università di medicina, e non solo, del mondo. Per chi non conosce Shelton, Ehret & C. sono medici che hanno approfondito a lungo la vera alimentazione per l’uomo in base a studi sull’anatomia comparata, le reazioni del sistema immunitario al cibo, ecc.. dimostrando che l’uomo è adatto solo al consumo di vegetali crudi, a digiuni periodici e che i farmaci non hanno senso di esistere e sono solo dannosi se solo l’uomo ritornasse a mangiare secondo natura. Si chiama senza muco perchè sarebbero da escludere anche i farinacei che apportano muco nel corpo. Proprio il muco che il corpo cerca di espellere con il raffreddore. Chi segue assiduamente un’alimentazione crudista anche d’inverno non ha più episodi di raffreddori per esempio. Più muco si introduce nel corpo è meno vitalità avremo. Nel post non ho accennato a questo aspetto per non sembrare troppo estremista! 🙂
Per quanto riguarda la colazione bisognerebbe mangiare (idealmente) sono frutta o digiunare fino alle 12 in quanto la mattina il nostro corpo elimina le tossine, e se introduciamo alimenti più pesanti come quelli animali il processo viene bloccato. Questo idealmente. Più ci avviciniamo a questa condizione è più favoriremo i processi del corpo.
Grazie del bell’articolo! Vorrei sapere qualcosa in più sull’indicazione di “digiunare fino alle ore 12” in contrapposizione a indicazioni tradizionali che dicono di mangiare “bene” (molto) la mattina per poi diminuire l’entità dei pasti andando verso la sera.
Grazie ancora!
Il nostro corpo ha 3 cicli importantissimi di 8 otto ore:
• Appropriazione e digestione: dalle 12,00 alle 20,00.
• Assorbimento dei nutrienti: dalle 20,00 alle 04,00.
• Eliminazione degli scarti del cibo: dalle 04,00 alle 12,00.
Da questo processo naturale possiamo dedurre che la fase migliore per mangiare è dalle 12 alle 20,00, la sera (dopo le 20,00) e di notte non si dovrebbe mangiare nulla, nella fase di eliminazione si dovrebbe mangiare solo frutta o comunque alimenti leggeri perchè gli alimenti pesanti come i prodotti animali bloccano la fase di aliminazione delle tossine che invece che essere espulse restano nei tessuti. Per tossine si intende di tutto, dalle tossine dei farmaci di sintesi a quellee introdotte dall’aria ai conservanti di sintesi dei cibi.
Ovviamente questa è la situazione ideale, più seguiamo i questi cicli più il corpo potrà funzionare meglio.
Più mangiamo cibi contro natura di mattina è meno vitalità e forza avremo. Ovviamente non voglio convencere nessuno di questo. Invito a provare. La vitalità, la lucidità mentale e la forza aumenteranno già dopo 1-2 settimane.
Assolutamente d’accordo. Condivido quanto riportato dall’articolo,; io stesso quando riesco ad alimentarmi in questo modo mi sento un altro, soprattutto acquisto in lucidità mentale, mi sento più reattivo. E poi i sette punti riportati, se non sbaglio, sono derivati dalla teoria di Shelton.
Buona alimentazione e Buon digiuno a tutti.
Ciao Orlando, in effetti Shelton forse è il personaggi che mi ha influenzato più di tutti negli ultimi anni di ricerche. Ma prima di lui ci sono altri come Graham. La lucidità mentale è un vantaggio che percepisce la maggioranza delle persone che cambia/migliora alimentazione.
L’essere umano , come tutto ciò che i 5 sensi possono percepire, è , principalmente , un aggregato di energia. Ecco perchè la scelta della alimentazione ne può alterare la struttura originaria, ed allontanarlo dalle sue origini. Non si tiene mai abbastanza contoche ciò che percepiamo come ” materia ” è la risultante di esperienze, così il cibo che indifferentemente mangiamo porta con se tutte le eperienze trascorse. Bene da questo assunto si considerino le ” esperienze ” di un pezzo di carne , pesce , formaggio del latte munto senza rispetto dell’animale, gli ortaggi coltivati in terreni sfruttati carichi di impazienza , in serre. Che cosa porteranno nei nostri organismi, quale sarà la loro energia che li caratterizza. Le strutture si formano intorno ad un reticolo energetico che ha una precisa frequenza che se alterata da luogo a tentativi di adattamento che esulano dall’origine, come uno strumento scordato in una orchestra modifica l’armonia della partitura originale.
Quindi la conoscenza di se porta ad una scelta verso il cibo compatibile che è , a mio avviso, VEGANO , senza solanacee di origine biologica o meglio biodinamica. Fondamentale, quindi , assumere alimenti che perpetrino la vita e ne favoriscano la completa e libera espressione.
Il nostro corpo ha 3 cicli importantissimi di 8 otto ore:
• Appropriazione e digestione: dalle 12,00 alle 20,00.
• Assorbimento dei nutrienti: dalle 20,00 alle 04,00.
• Eliminazione degli scarti del cibo: dalle 04,00 alle 12,00.
Da questo processo naturale possiamo dedurre che la fase migliore per mangiare è dalle 12 alle 20,00, la sera (dopo le 20,00) e di notte non si dovrebbe mangiare nulla, nella fase di eliminazione si dovrebbe mangiare solo frutta o comunque alimenti leggeri perchè gli alimenti pesanti come i prodotti animali bloccano la fase di aliminazione delle tossine che invece che essere espulse restano nei tessuti. Per tossine si intende di tutto, dalle tossine dei farmaci di sintesi a quellee introdotte dall’aria ai conservanti di sintesi dei cibi.
Ovviamente questa è la situazione ideale, più seguiamo i questi cicli più il corpo potrà funzionare meglio.
Più mangiamo cibi contro natura di mattina è meno vitalità e forza avremo. Ovviamente non voglio convencere nessuno di questo. Invito a provare. La vitalità, la lucidità mentale e la forza aumenteranno già dopo 1-2 settimane.
articolo interessante!
Non voglio fare il solito critico, però… ci sono dei riferimenti scientifici/attendibili che confermano quanto esposto?
Purtroppo spesso si leggono pareri completamente contrastanti, e sono piuttosto confuso. Vorrei quindi capire a fondo l’argomento, avere dei riscontri reali e testabili.
Grazie! La mia non vuole essere un critica, tutt’altro. Vorrei “rassicurazioni” 🙂