Uno dei temi più trattati dalla psicologia è la motivazione. Questo tema sta assumendo, oggi, un peso sempre più rilevante nella formazione e nella gestione delle risorse umane, e la sua importanza cresce sempre più in funzione dell’accelerarsi del processo di terziarizzazione dell’economia italiana.
Premetto che di solito evito di parlare di trucchi, segreti o regolette, quando si parla di tematiche legate alla personalità ma, in questa occasione mi sembrava utile stabilire dei punti chiave sui quali focalizzare la tua attenzione . Per questo ho deciso di pubblicare queste riflessioni sotto forma di sette regole.
In questo post il tema della motivazione non viene affrontato dal punto di vista del comportamento individuale cioè “cos’è che ci motiva al lavoro” ma dal punto di vista di chi deve gestire una squadra quindi “come fare a motivare la propria squadra di lavoro a dare il massimo?” in un periodo di incertezza come quello in cui oggi viviamo, e a superare la dicotomia tra obiettivi personali e obiettivi dell’azienda.
La Motivazione è la leva competitiva dei nostri giorni!
Su un mercato del lavoro, sempre più competitivo e flessibile, così come quello che si è strutturato in questi ultimi anni, la motivazione dei propri collaboratori è diventata una variabile strategica per l’impresa, in quanto può fare realmente la differenza fra raggiungere o mancare gli obiettivi di performance prestabiliti. Le persone oggi possono determinare il successo o l’insuccesso di ogni organizzazione e possono, inoltre, essere una notevole fonte di vantaggio competitivo.
In questo tempo alle aziende italiane viene chiesto molto di più che produrre semplici prodotti fisici standardizzati. Oggi si chiede di essere flessibili, offrire servizi, rispondere ai bisogni sempre nuovi della clientela, ridurre i costi, aumentare le opportunità, migliorare l’esperienza d’uso etc etc.
Di conseguenza anche al lavoratore oggi non è chiesto più soltanto di eseguire semplici e ripetitivi compiti manuali ma, di approcciare quello che fa con intelligenza creatività, dedizione,. e questo tipo di richieste vengono formulate a tutti i livelli. Non c’è quasi nessuna qualifica professionale che sia esonerata da questo generale aumento delle aspettative. In altre parole oggi, tutti i lavoratori devono fare molto di più, di quello che facevano un tempo ma, con minori risorse.
Il sogno di ogni imprenditore, e di ogni coordinatore di risorse umane, è quello di trovare collaboratori auto-motivati che lavorino coscienziosamente, con assiduità, che desiderano esprimere al meglio il proprio potenziale nel contesto organizzato al quale appartengono.
L’esperienza quotidiana tuttavia, ci fa notare che nella realtà esistono diverse tipologie di lavoratori. Ci sono degli individui che nello svolgere le proprie mansioni si applicano il minimo indispensabile, arrivano spesso tardi in ufficio, non rispettano le scadenze e riescono raramente a portare a termine i propri compiti e trovano sempre molte giustificazioni ai propri fallimenti. All’opposto ci sono poi persone che, in tutti i progetti si applichino e cercano di dare il massimo, lavorano tanto, spesso trattenendosi in ufficio oltre l’orario di lavoro e accolgono i nuovi incarichi con entusiasmo, sono ambiziosi, e mossi da una spinta a fare sempre meglio. Ci sono, infine, gli individui che mercanteggiano in continuazione, ad ogni nuovo incarico cercano di capire cosa possono guadagnare di più in termini di tempo e di danaro, che rimandano continuamente le scadenze perché cercano di accaparrarsi quanti più lavori possibili. La motivazione è quello che fa realmente la differenza tra tutti questi tipi di lavoratori.
Ma cos’è, esattamente, la motivazione?
Essa può essere definita come ciò che spiega l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza di un comportamento diretto a uno scopo (De Beni e Moè, 2000). Il termine MOTIVAZIONE deriva letteralmente da Motivo-azione, cioè il “Motivo” che ci spinge a compiere una determinata “Azione”. In altre parole è l’insieme degli scopi che spingono una persona ad agire e a mettere in atto un comportamento in direzione degli obiettivi da raggiungere.
Per molto tempo si è creduto anche erroneamente che per ottenere il massimo da un collaboratore bastasse condizionare l’elargizione di premi o eventuali punizioni alla qualità dei risultati prodotti. E così per anni si sono organizzate le politiche motivazionali attraverso strumenti quali stipendio (Valore materiale) e Carriera (riconoscimento sociale all’interno dell’organizzazione ).
Effettivamente, l’abilità di riconoscere queste leve può consentire all’imprenditore accorto di attivare, talvolta, risorse insperate nel proprio collaboratore. Tuttavia, al giorno d’oggi sempre più spesso questo non è sufficiente ad assicurare l’assiduità e la continuità, negli anni, del livello di prestazione desiderato.
In primis la motivazione è un fattore essenzialmente soggettivo: ognuno di noi è motivato da fattori differenti. Essere motivati al lavoro significa svegliarsi felici per l’inizio di una nuova giornata lavorativa, non sentirsi stanchi ed essere sempre alla ricerca di nuovi traguardi.
Alcune persone sono più attratte dal denaro, altri dalla sensazione di essere considerati i migliori, di essere riconosciuti nel proprio ruoli altri ancora dalla sfida materiale con gli avversari, altri dall’opportunità di esprimere la propria creatività.
Inoltre non sempre gli obiettivi del lavoratore coincidono con gli obiettivi del gruppo. O meglio spesso il lavoratore percepisce una dicotomia una contrapposizione tra i propri obiettivi personale e gli obiettivi dell’azienda nel suo complesso. (Definizione di Motivazione secondo Wikipedia)
Il problema della motivazione è questione di obiettivi!
La questione che vorrei porre in questo articolo non è tanto quella di spiegare “cosa motiva le persone al lavoro” (di cui tra l’altro internet è piena di post con rispettive risposte) quanto piuttosto quella di offrire una piccola risposta alla domanda :
“come allineare gli obiettivi del lavoratore agli obiettivi dell’organizzazione?“
Spesso la mancanza di motivazione non è legata alle politiche degli incentivi (“faccio un lavoro che mi da lo stipendio migliore”) e nemmeno alle caratteristiche specifiche del ruolo professionale di un singolo lavoratore (“faccio un lavoro che mi piace con il quale esprimo me stesso”) quanto piuttosto ad alla percezione di una dicotomia, una contrapposizione tra gli obiettivi dell’azienda e gli obiettivi del lavoratore (“mi conviene legare il mio futuro professionale a questa squadra”).
Del resto viviamo un periodo di incertezza sul mercato, è facile che si manifesti nel lavoratore il dubbio sull’affidabilità nel medio e nel lungo termine dell’azienda con la quale collabora. Molti studiosi di organizzazione negli anni ottanta già avevano notato che i dipendenti delle aziende non competevano tra loro per lo stipendio migliore ma per il “Posto” cioè per il ruolo professionale nel quale erano coinvolti. Il “Posto” influiva nel medio termine sulle prospettive di carriera svolte anche in contesti professionali differenti. Quindi un lavoratore che diventava assistente al direttore del personale nell’azienda X.spa poteva ambire a diventare anche direttore del personale presso l’azienda Y.spa rivendendosi il “titolo del ruolo professionale” che aveva svolto. Quindi, negli anni ’70 e ’80 era diffusa la convinzione che lavorare in grandi strutture in ruoli particolari del management garantisse il successo professionale perpetuo.
Il “percorso di carriera” era lo strumento principale sul quale fare leva per stimolare la motivazione nel personale. Ma oggi quante sono le aziende che riescono ad operare nello stesso modo?
Ben poche direi! anzi nessuna. Non c’è nessuna azienda che garantisce un percorso lineare e progressivo di crescita. C’è da dire di più! Negli ultimi anni sono sempre di più quelle aziende che hanno dimostrato di non essere capaci nemmeno di garantire una continuità lavorativa. Non sono poche le aziende che con la crisi hanno espulso personale anche a livello manageriale. Nel 2009 si è stimato che oltre 10.000 quadri e dirigenti hanno perso il proprio posto di lavoro nella sola Lombardia.
La domande che oggi si pongono sempre più spesso i lavoratori sono e che influiscono sul livello di motivazione sono :
“mi conviene dedicare gran parte delle mie risorse per partecipare a questa squadra?” e ancora
“se faccio oggi un sacrificio e investo risorse emotive, psicologiche e formative in questa esperienza, in questo percorso professionale, questa azienda farà lo stesso con me nel momento del bisogno o non scapperanno tutti al richiamo del si salvi chi può?”
“mi conviene di più passare il mio tempo libero per perfezionarmi nel ruolo che mi viene proposto dall’azienda o investire il mio tempo per dedicarmi ad una seconda attività, o fare semmai un lavoro a nero o a vendere qualcosa su internet? In fondo io sono solo uno dei tanti dipendenti di una azienda che non è la mia”.
Questa è la dicotomia a cui faccio riferimento, una contrapposizione di obiettivi tra lavoratore e azienda. Mentre l’azienda cerca di produrre risultati un po’ per tutti i soggetti coinvolti e interessati il lavoratore pensa a salvare se stesso. Ripeto questa contrapposizione prima era risolta con una serie di strumenti (la carriera, i benefit, i posti e gli stipendi) che oggi sembrano essere inefficaci proprio a causa dell’incertezza del mercato. Molti manager, sbagliando rispondono a questa ansia proponendosi come immuni dal problema :“non ti preoccupare questo posto e sicuro siamo una grande azienda, noi facciamo 5.000 (10.000, 100.000 dipendenti)” ma, a mio personale giudizio queste sono risposte vecchie che hanno fatto il loro tempo.
E’ sotto gli occhi di tutti come grandi molte grandi aziende continuino a espellere personale. C’è bisogno di risposte nuove a domande nuove.
Per un manager, quindi, oggi diventa molto importante sviluppare la capacità di comunicare al collaboratore che si è tutti dalla stessa parte e che quella esperienza lavorativa sarà comunque funzionale alla crescita professionale e personale dell’individuo.
L’ansia del collaboratore nei confronti dell’incertezza nel futuro può essere curata soltanto comunicando due cose: spirito di squadra e crescita personale:
spirito di squadra: “è vero viviamo nell’incertezza ma in questa avventura non sei solo, siamo una squadra un gruppo che affronta insieme questo periodo minaccioso” e ancora
crescita personale: “comunque vada anche nel caso in cui non lavorerai più con noi, avrai comunque accumulato tanta esperienza e sarai notevolmente cresciuto professionalemente”
Per un manager, quindi, diventa molto importante conoscere alcuni aspetti del comportamento umano, e sviluppare una buona comunicazione in termini motivazionali. Ecco quindi una serie di sette regole /abilità che devono essere sviluppate da parte di un manager per motivare il proprio gruppo, e per far sentire partecipe il lavoratore della stessa avventura.
Le sette regole
1. Dare sempre un feedback
Il Feedback è il processo attraverso il quale si forniscono informazioni di ritorno derivanti dal un comportamento o una azione.
Gli esseri umani desiderano ardentemente avere un riscontro alle loro azioni. È una caratteristica innata nel genere umano. Ogni genitore lo sa se di prova a ignorare un bambino di tre anni questo cercherà di ottenere attenzione in molti modi differenti, ma se si continuerà a trascurarlo, presto si metterà a piangere o romperà qualcosa, perché qualsiasi tipo di feedback, anche quello negativo, è meglio dell’assenza totale di feedback. L’assenza totale di feedback porta all’apatia. Un bambino che quando piange non riceve alcuna risposta presto smetterà di piangere e lentamente si intristirà sempre di più perdendo la voglia di fare qualunque cosa, anche di giocare e anche di mangiare. È stato dimostrato che i bambini quando continuamente ignorati smettono di nutrirsi.
Alcuni pensano che questo principio si applichi soltanto ai bambini, ma in realtà vale ancor di più per gli adulti.
I tuoi collaboratori non sono diversi. Se tronchi il feedback, le loro menti ne elaboreranno uno personale, spesso basato sulle loro peggiori, ansie, paure e angoscie ; e così inizieranno a fantasticare “non mi ha detto nulla perchè ce l’ha con me” o peggio “non ci dice niente perché siamo in crisi già sta pensando a come mandarci a casa” .
Inoltre considera che gli esseri umani bramano un feedback reale basato su dati concreti, non semplici commenti condiscendenti e tranquillizzanti “non ti preoccupare sei bravo quello che fai va sempre bene”.
I buoni risultati richiedono un feedback continuo e, se si pretende il massimo dai collaboratori, si deve per forza essere aggiornatissimi sui numeri e su quello che significano. I migliori motivatori fanno i compiti a casa e sanno sempre qual è la realtà dei fatti, e ne rendono sempre partecipi i loro collaboratori. Pensa di essere un allenatore di un grande campione di corsa. Quando fai fare un giro di campo al tuo campione lo misuri con il cronometro e cosa gli dici ? : “hai fatto 2 decimi in meno bravo” oppure in maniera superficiale “guagliò sei bravo non ti preoccupa’ “.
2. Essere di esempio
Sei stato in libreria negli ultimi dieci anni? Hai notato quanti sono i libri scritti dai cosiddetti “Veri guru”? Il guru del marketing, il guru dello sviluppo personale, il guru del web marketing, del neuromarketing, del self brand, della finanza e chi più ne ha più ne metta. Viviamo il periodo del GURU-ISMO . Sai perché?
In un momento di incertezza come quello in cui viviamo le persone sono alla continua ricerca di esempi da seguire, di qualcuno che ha già fatto quella cosa e l’ha fatta bene vincendo. Niente è più motivante che un esempio concreto di successo da seguire alla portata di mano. Se vedo che una persona più o meno simile a me ha avuto successo lavorando, mi convincerò che posso averlo anche io.
Quando sei in prima linea e risolvi i problemi da solo, stimoli gli altri a fare lo stesso; quando fai le cose che vorresti facessero loro, li ispiri. Cerca quindi di essere una fonte di ispirazione. I tuoi collaboratori preferiscono essere ispirati piuttosto che rimproverati o corretti, e lo preferiscono a qualsiasi altra cosa. Questo perché oggi tutti siamo alla ricerca di un orientamento personale. Tutti siamo alla ricerca di modelli da seguire. Che indirizzo diamo alla nostra vita? Questa è una delle grandi domande che ci poniamo tutti i giorni.
In termini di motivazione, essere di esempio ha un impatto maggiore e più duraturo rispetto a qualsiasi altra tecnica e cambia le persone in modo più profondo e più completo. Essere di esempio ha un potere enorme sugli altri in quanto stimola tutta una serie di meccanismi psicologici dell’apprendimento (di cui forse ti parlerò in un altro articolo) Quindi sii quello che vorresti vedere negli altri.
Se vuoi che i tuoi collaboratori siano più positivi, sii più positivo; se vuoi che siano più fieri di quello che fanno, sii più orgoglioso del tuo lavoro. Mostra loro come si fa. Vuoi che abbiano un bell’ aspetto e vestano in modo professionale? Fallo tu per primo. Vuoi che arrivino in orario? Arriva sempre in anticipo (e spiega il perché… Chiarisci che cosa significa la puntualità per te, non per loro).
3. Dire sempre la verità
I grandi leader hanno tutti la stessa abitudine: dicono la verità senza esitare, a differenza di altri manager. La verità del resto è difficile da nascondere. Chiunque ha studiato un po di comunicazione o un po’ di PNL da bene che le bugie non sfuggono ad un osservatore attento. Se nascondi qualcosa ai tuoi collaboratori prima o poi si accorgeranno che non sei sincero e penseranno al peggio. Se ne accorgeranno dall’espressione del tuo viso, da come cammini da come stai seduto sulla sedia e da tantissimi altri piccoli elementi di comunicazione non verbale. Meglio è comunicare sempre le informazioni anche quando sono negative. Poi semmai si cerca di enfatizzarne gli aspetti positivi.
I grandi venditori e tutti i leader che ottengono performance migliori dal proprio team e hanno il maggiore successo professionale, sono persone che danno molto. Si mantengono sempre in contatto con il loro potere di fare di più, offrendo ai loro committenti interni ed esterni diversi tipi di vantaggi (informazioni utili, offerte di servizi, rispetto per i loro tempi, supporto ai loro successi, conversazioni amichevoli, ringraziamenti sinceri, notizie in esclusiva), dando, dando, dando tutto il giorno, mettendo sempre i desideri e i bisogni del cliente al primo posto. Fanno sempre le domande più opportune e ascoltano sempre più attentamente di chiunque altro. Man mano che questo tipo di impegno aumenta e si allarga e, grazie a una comunicazione creativa e in continuo sviluppo, ogni cliente è fatto oggetto di questi privilegi, il venditore diventa un vero esperto di psicologia del cliente e del comportamento d’acquisto. E quel venditore comprende che un livello di abilità professionale così vertiginosamente alto può essere acquisito solamente attraverso una potente interazione basata sul vantaggio reciproco!
4. Non perdere di vista il risultato
Ricorda sempre che il tempo che dedichi ad aiutare un collaboratore produttivo aumenta la produzione del tuo team in misura maggiore rispetto al tempo che passi con un improduttivo.
I manager devono semplificare, semplificare, semplificare. Non devono fare quello che fanno di solito: complicare, occuparsi di più cose contemporaneamente e ancora complicare. Mantieni le cose più semplici possibile per gli improduttivi, concentrandoti soltanto sui risultati. Passa sempre più tempo con i produttivi, che sono alla ricerca di quel mordente in più che possono ricevere da te.
Gli improduttivi, invece, devono imparare un’ enorme lezione da te: ogni giorno possono rendersi conto che la loro produttività è la conseguenza diretta della loro volontà (o mancanza di volontà) di raggiungere un determinato risultato.
Concentrati sui risultati. Conquisterai sempre ciò per cui ti impegni intensamente. Se ti concentri soltanto sulle attività, ecco cosa otterrai: un mucchio di attività. Ma se ti focalizzi sui risultati, allora otterrai un mucchio di risultati.
5. Essere consapevoli della propria comunicazione
Comunica consapevolmente. Sii conscio dell’effetto delle tue parole.
Viviamo nell’era dell’informazione. I tuoi collaboratori usano la mente in modo creativo e produttivo tutto il giorno. E tutti usano la comunicazione per guadagnarsi da vivere.
Oggi, più che in passato, la comunicazione è la nostra linfa vitale, ed è la linfa vitale di ogni organizzazione. Tuttavia, diverse aziende affidano ancora gran parte della loro comunicazione al caso, al “buon senso”, o a vecchie tradizioni che non sono più adatte a mantenere un buon livello di informazione che coinvolga tutti quanti nelle strategie.
La comunicazione è la fonte della fiducia e del rispetto all’interno di ogni tipo di organizzazione, quindi si deve giocare a carte scoperte il più spesso possibile.
Quando accresciamo la nostra consapevolezza riguardo all’importanza della comunicazione, questa viene potenziata. Quando ci prendiamo la piena responsabilità del modo in cui comunichiamo, l’organizzazione viene potenziata.
6. L’importanza del linguaggio
Le parole significano cose; le parole che formano pensieri e creano cose. Le parole danno inizio alle cose: cambia un’unica parola in quello che stai dicendo e potrai terrorizzare un bambino. Una parola spaventosa può far piangere e tremare un bambino. Usane un’altra e il bambino tornerà felice. Le parole comunicano scenari, energia, emozioni, possibilità e paure.
Un debito a seguito di un investimento che non sta dando immediatamente i risultati sperati può essere comunicato in due modi : “siamo rovinati, siamo pieni di debiti, non c’è un soldo” oppure “stringiamo i denti per essere realmente tutti più forti e ottenere quello che ci eravamo prefissati”. La leadership si basa sulla volontà personale e interiore. È vivere una vita incentrata sulla chiarezza dello scopo. Il vittimismo non è basato sulla volontà, ma sul percepire se stessi come vittime delle circostanze e delle opinioni altrui. La vittima è sempre ossessionata da quello che pensano gli altri.
Essere ossessionati tutto il giorno dalle opinioni degli altri è il modo più veloce per perdere l’entusiasmo per la vita. È il modo più veloce per perdere quell’energia fonda¬mentale che ti permette di fare tutto ciò di cui vai orgoglioso. Avrai notato che i bambini non sembrano avere questa preoccupazione: per la maggior parte, quando stanno facendo qualcosa che li diverte molto, sembrano dimenticare che qualcuno li sta osservando e dimenticano persino tutto il mondo esterno. Sono completamente coinvolti. I grandi leader fanno la stessa cosa. Per approfondire il tema del legame tra Motivazione e comunicazione leggi anche questo articolo.
7. Occhi aperti e non smettere mai di imparare !
Il cambiamento spaventa tutti! La notizia del cambiamento spaventerà i tuoi collaboratori nella stressa misura in cui spaventa te. Quindi un altro modo per costruire la tua forza interiore come leader è aumentare la tua consapevolezza di cos’è la vita e di come funziona il mondo, e di come funziona l’ambiente del lavoro. Più ne sarai conscio, migliore sarai come leader.
Un tempo i leader erano diretti da altri leader, i manager: da altri manager, e non c’era molto spazio per muoversi in mezzo. Adesso, però, le cose sono così complesse e in continuo mutamento che è come sospendere ogni volta la partita al fischio di inizio invece di giocare regolarmente.
La vita è cambiata profondamente e continuerà a cambiare ancora più velocemente con il passare del tempo. Questa è una buona notizia per un leader che si impegna a esserne sempre più consapevole.
Per questo non interrompere la tua curva di apprendimento e dimostra ai tuoi collaboratori che continui a imparare. Non avere sempre quell’atteggiamento da “signor so tutto”. Fai vedere che in te ci sono “lavori in corso”: sarà più facile, per loro, sottoporti buone idee.
I manager, per la maggior parte, sono così insicuri nel loro ruolo, che cercano continuamente di far vedere che sanno tutto. Non partecipano mai ai seminari e disprezzano i libri di teoria del management, ma questo atteggiamento demoralizza i loro subordinati. Tutti possiamo imparare qualcosa di nuovo, ogni giorno, sulla nostra professione. Poco a poco possiamo incrementare le nostre conoscenze di base, aumentando la nostra competenza professionale e la nostra capacità di aiutare gli altri. La felicità è crescita, siamo felici quando cresciamo. E la gente felice motiva meglio di quella infelice.
Conclusioni
In questo articolo abbiamo affrontato e discusso la questione della motivazione del personale da un punto di vista diverso dal solito. Ci siamo posti la domanda “come superare la contrapposizione tra gli obiettivi del lavoratore e obiettivi dell’azienda. Molto spesso il management aziendale continua a dare risposte datate a problemi nuovi come quello dell’incertezza del mercato del lavoro.
I due elementi per generare opportuna motivazione nei propri collaboratori abbiamo visto essere la costruzione di uno spirito di squadra e l’attenzione alla crescita personale del lavoratore attraverso una comunicazione corretta da parte del management.
L’applicazione costante di queste 7 regole di motivazione dovrebbe aiutare il management a costruire nel tempo questo rapporto comunicativo migliore a generare motivazione e a sviluppare uno spirito di squadra più coeso.
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Credo non esista nessuno che non possa rivedersi in uno di questi atteggiamenti. Un articolo che funge da esame di coscienza, direi!
Ascoltare i problemi delle persone che ci sono vicine, amici, colleghi, famigliari con i quali abbiamo un coinvolgimento emotivo non è cosa facile. La tentazione di dare loro consigli è sempre in agguato. Non siamo allenati a fare gli psicanalisti per fare da specchio alle negatività degli altri. Tuttavia allenarci a dare aiuto a chi ce lo richiede è cosa utile. Come è utile imparare ad uscire dalla condizione di vittime, mostrare un fianco scoperto e un po' della nostra debolezza e chiedere aiuto. Possibilmente cercandolo nella persona giusta. Non è facile. Ma il tentativo va fatto.
Complimenti per il blog. Un saluto a tutti, Gabriella
Relativamente al punto 2 forse è inappropriato trovare soluzioni ma raccontare come ci si è comportati in situazioni simili o suggerire cosa io farei nella sua stessa situazione, non credo sia sbagliato.
Condivido tutti gli altri punti.
Ciao. Sara
Quello che è scritto mi trova pienamente d'accordo. Cerco, come "counselor" di mettere in pratica questi importantissimi punti che fanno la differenza nelle relazioni con gli altri, tuttavia, agire questi preziosi comportamenti implica un continuo monitoraggio verso se stessi e l'interlocutore, per cui, specialmente in situazioni non professionali, risulta difficile e poco spontaneo correggersi.
Egregi Signori, tutti questi accorgimenti sono a dir poco sacrosanti ma, chissà per quale arcano motivo, le persone che li leggono, ovvero noi, sono già per loro natura abili comunicatori ed in alcuni casi abili ascoltatori.
Io penso che queste regole debbano essere divulgate nel posto giusto, al momento giusto, ma soprattutto alla PERSONA GIUSTA.
Ahinoi, ci sono persone che sono ben al di sotto di queste sacre regole morali.
Ometto gli esempi perchè già tanti di Voi sanno a cosa e a chi mi riferisco.
Saluti a Tutti
Un piccolo rilievo formale: non si dice "dare commenti" ma "fare commenti". Un commento non si dà, si fa. Si può dare un consiglio, non un commento.
Tutto il resto va benissimo, eccetto la foto sopra il testo. E' falsa al 100%. Quella gente bella, giovane, elegante, allegra e soddisfatta che fa team come se bevesse un bicchiere d'acqua esiste solo nel "Mulino che vorrei" oppure a Milano 2, di plastica.
Un saluto a tutti.
Hai ragione Salvatore … i commenti si fanno … ma nel testo testo capita che rimangano dei refusi
La foto è una foto di repertorio … serve solo a rendere l’idea 😉
al di la di queste correzioni che ne pensi dell’articolo ?
I suggerimenti offerti sono senz'altro validi. Purtroppo, per deformazione professionale, un termine o una foto inappropriati presenti in un testo mi mettono subito sulla difensiva. Dovrei imparare a essere più tollerante, ecco!
Grazie per questo promemoria…sembra scontato in effetti, ma se si da la giusta attenzione è molto utile.